venerdì 31 ottobre 2014

Il grande campione - quando Rocky ancora non esisteva

Il grande campione è un film del 1949 di Mark Robson  in cui Kirk Douglas interpreta Midge, un ragazzo povero che tenta il riscatto sociale ed economico buttandosi nel mondo della box. La sua grinta e la sua determinazione lo premieranno portandolo all'apice del successo, ma a prezzo sempre crescente.

Il tema del ragazzo povero che sfrutta la sua rabbia boxando è un tema che verrà celebrato circa 30 anni dopo questo film nella lunga saga di Rocky, il ragazzone gigantesco ma dal cuore buono, senza grande tecnica, inizialmente, ma con la rabbia di chi ha provato la fame e l'umilizione. Anche Midge è un ragazzo che viene dalla strada, ed ha la stessa rabbia e determinazione di Rocky, però in Midge presto il cinismo e la consapevolezza del suo potere sulle persone avranno la meglio sui sentimenti che dovrebbero tenerlo con i piedi per terra, come l'amore per la famiglia. Midge non ha pietà, nè sul ring nè fuori, prende tutto ciò che vuole,  la stessa vampa che gli brucia dentro finirà per bruciarlo prima che se ne renda conto. Il film ci restituisce senza fare sconti, con occhio spietato,  la vita di un campione grande sul ring, ma meschino nella vita vera, come probabilmente è stata la vita di molti dei campioni per cui facciamo il tifo. E la storia di Rocky, dove i buoni sentimenti vincono sempre, e dove il cinema holliwoodiano diventa sempre più edulcorato, è ancora così lontana da venire.

domenica 29 giugno 2014

Forrest Gump, un cuore puro puntato contro il mondo


Non avevo mai guardato Forrest Gump, perché temevo di rimanere invischiata in una palude di retorica e luoghi comuni. Invece qualche sera fa l'ho guardato e sono rimasta piacevolmente sorpresa, non solo per la leggerezza che caratterizza il film, ma anche dal personaggio di Forrest, che fa del suo cuore puro una vera e propria arma con cui parte alla conquista del mondo. 






 Corri, Forrest, corri 

Forrest vive in una grande casa nel Sud degli Stati Uniti, nell' Alabama ancora profondamente razzista degli anni '50, con la mamma e senza il papà "partito per una vacanza".  Forrest è imprigionato in una specie di limbo: solo alcuni punti lo separano dall'avere un QI considerato "normale" . Un giorno, nella folle corsa di  bambino, trova la sua libertà e salvezza. Mentre corre per salvarsi da alcuni bulli, spezza le protesi alle gambe che il dottore gli aveva imposto. In quel gesto di libertà c'è il fil rouge della sua storia e di tutto il film: liberarsi dalle sovrastrutture della società, inutili, che non fanno che appesantire e rendere schiavo l'individuo. Da quella prima corsa Forrest non si fermerà più, inziando il suo viaggio alla scoperta del mondo, dove vivrà esprienze straordinarie, attraversando la storia di quel tempo e conoscendo personaggi dell'epoca (Elvis Prestley, John Lennon, il presidente Kennedy e poi Nixon...), ma tenendo sempre nel cuore gli insegnamenti della formidabile mamma.




E poi c'è l'amore. "Non sarò un pozzo di scienza, ma l'amore, so cos'è". È questo che dice Forrest alla sua amata Jenny, che per tutto il film apparirà e sparirà, consumandosi in un'esistenza tormentata e inquieta, senza mai riuscire a liberarsi dal dolore che le pesa nel cuore. E così Jenny affonda, schiacciata dal peso del suo cuore, mentre Forrest fluttua, si libra, vola, come privo di forza di gravità.

Lo sguardo di Forrest sul caos del mondo
Seguiamo così le avventure di Forrest, guardiamo con i suoi occhi un mondo malato e perverso. Allora tutto ci è sopportabile. Con i suoi occhi vediamo l'amore e l'amicizia,  con intensità e purezza di un diamante. Forrest non conosce "se" e "ma". Lui parte, lui fa. Lui sconvolge le regole e poi riordina le cose con le sue di regole. Lui rimette a posto il caos del mondo.
Tutto si ricompone e tutto ha finalmente un senso: chiaro, preciso, inequivocabile.
Nonostante questo, la vita non è una favola bella, e il dolore puntuale arriva a trafiggere anche il cuore di Forrest.  Ma nessuna nuvola può offuscare, se non temporaneamente, la primavera di un cuore puro e gioioso, come quello di Forrest. E in quella purezza è il segreto della sua forza.

"La mia forza è come la forza di dieci uomini, perché il mio cuore è puro"
Lord Alfred Tennyson


domenica 15 giugno 2014

Quello che nessuno aveva mai raccontato sulla signora delle Camelie

Alphonsine Plessis alias marie du Plessis
Marie du Plessis fu la cortigiana bella e raffinata, celebre nella Parigi di metà Ottocento, immortalata da Dumas figlio ne La signora delle camelie, che a sua volta ispirò la Traviata di Verdi: noi la conosciamo così, attraverso il loro racconto, nell'attimo prima dello sfiorire, quando la malattia e poi la morte la riscattano da ogni peccato. Adesso la scrittrice inglese Julie Kavanagh ne rivela in un libro (La ragazza che amava le camelie)  la prima parte della vita, quella più prosaica, e svela come una bella e scaltra contadina riuscì, con cinismo e freddezza, a diventare una delle cortigiane più ambite e famose di Parigi.

Una donna, molte identità

Una donna dai tanti nomi e altrettante identità: nata Alphonsine Plessis, scelse il nome più aristocratico Marie du Plessis per la sua carriera parigina; Dumas figlio, che con lei ebbe una fugace relazione, la chiamò Marguerite Gautier nel suo romanzo; infine Verdi scelse per lei il nome di Violetta Valéry. Tutti questi nomi sono comunque riconducibili a un'unica immagine di donna, quella che incarna l' "archetipo romantico" di ragazza in grado di innamorarsi, di provare sentimenti nobili, osteggiata da una società ipocrita e benpensante, punita da un destino crudele, sfiorita come un bel fiore, troppo presto, troppo ingiustamente.

 Il libro

 Non si parla però, né nel romanzo, né nell'opera, di come Alphonsine arrivò a fare una simile fortuna: nel libro La ragazza delle camelie la scrittrice inglese Kavanagh ne ricostruisce l'esistenza dagli inzizi fino all'apice del successo. Racconta una donna intelligente e scaltra, cinica anche, disposta a scendere a compromessi e a farsi largo in una società crudele, che non perdona chi commette errori, dove tutto è lecito finché si mantengono le regole del silenzio e della discrezione. Una società a cui la giovane Alphonsine riesce a tenere perfettamente testa, tenendo avvinti a sè molti uomini che la mantengono volentieri (tra cui dumas padre, il pianista Liszt, e altri uomini potenti e di spicco dell'epoca).


Non so se lo leggerò perché...

Sappiamo tutti che Marie/Marguerite/Violetta non fosse una donna pura e casta, e tutti abbiamo sempre saputo che la ricchezza e le conoscenze di cui disponeva non le piovvero dal cielo. Eppure forse abbiamo sempre desiderato non saperlo, finendo per innamoraci, anche noi, di quella ragazza così giovane e bella, capace di un amore profondo e puro, che si è servita, ma è stata soprattutto usata, da una società  cinica e priva di scrupoli, dove una ragazza povera non aveva poi molta altra scelta se non vendere se stessa.


Il libro che forse leggerò:
La ragazza delle camelie di Julie Kavanagh (Einaudi, pagg. 250, euro 19,50)
Articolo da cui ho saputo dell'esistenza del libro: Corrado Augias su Repubblica del 6 giugno 2014

sabato 7 giugno 2014

Suor Cristina, le vie del Signore passano anche per la musica (e per la tv commerciale)

È arrivata quasi in punta di piedi, con il suo sorriso dolce e timido, e allo stesso tempo una forza e una grinta invidiabili. Ha conquistato tutti al primo ascolto con Alicia Keys, per poi trionfare nella serata finale. E allora, improvvisamente, mi è parso tutto chiaro e ho visto Suor Cristina come un cavallo di troia, rockeggiante e  dal velo nero, mandato alla conquista delle radio italiane.

Suor Cristina, il fenomeno

Quando ha calcato il palco la prima sera, è stata un'emozione: quella suorina esile, con il sorriso dolce ma la determinazione negli occhi, sembrava una visione. Così fuori luogo, in quel contesto tutto lustrini e pallettes, eppure allo stesso tempo ti dicevi che era giusto così, che la religione dovrebbe essere prima di tutto gioia di vivere e che quindi, in fondo, non era una situazione così sbagliata.
Suor Cristina è diventata un fenomeno mediatico di rilevanza mondiale e, puntata dopo puntata, ha sbaragliato tutti. Priva delle armi della seduzione, come altre concorrenti, faceva quasi tenerezza nella sua spartana semplicità, con i suoi capelli sempre nascosti sotto il velo, e la croce che le rimbalzava sul petto, mentre le altre concorrenti sfoggiavano elaborate acconciature e make-up, e mise attillate, dalle quali schizzavano fuori generosi decolletè e gambe chilometriche. Si è puntato molto anche sull'ironia e i doppi sensi dei brani scelti, tratti spesso da film non proprio casti, come Dirty Dancing o Flashdance, che acquistavano un nuovo significato, e si è giocato anche sul contrasto che ha funzionato fin dall'inizio tra sacro e profano, tra diavolo e acqua santa.

Le polemiche hanno iniziato a montare, ottenendo come effetto di rendere suor Cristina ancora più simpatica e televotata. Fino alla serata finale in cui ha conquistato il primo posto che invece  avrebbe meritato, a mio avviso, l'emiliano Giacomo Voli che, nell'ultima puntata, ha finalmente imparato a dominare e gestire la sua voce, regalando esibizioni memorabili.
Non nascondo che quando Federico Russo ha annunciato la vincitrice mi sono chiesta se non fosse stato più giusto che la suora avesse rinunciato alla finale cosicché uno di quei giovani e promettenti ragazzi non potesse vincere l'ambito contratto con una casa discografica. Ma soprattutto, non riuscivo a credere ai miei occhi quando, la timida e riservata Suor Cristina con nonchalance ha rubato la scena a tutti lasciandoli senza parole, persino il loquace Federico Russo e, oramai padrona della scena e del microfono ha chiesto, o meglio preteso, che si intonasse in coro un Padre Nostro, dopo aver chiesto, o meglio ordinato all'orchestra un pezzo "dolce in sottofondo, uno qualunque". A quel punto suor Cristina mi è sembrata diversa, come animata da una diabolica determinazione. Anche J-Ax si è lanciato in un disperato tentativo di fermarla,  dicendo che temeva che lui e Pelù avrebbero preso fuoco. Invece non ha preso fuoco nessuno "purtroppo" e si è consumato uno dei momenti più strani e surreali della tv italiana. Per un attimo è sembrato di stare sull' emittente televisiva di radio Maria e tutto il glam del programma si è miseramente spento.
 E così improvvisamente mi è parso tutto chiaro, e ho immaginato gospel e canzoni dedicate a Gesù e a Maria irrompere improvvisamente nelle emittenti radiofoniche italiane, mandate in onda da  sbigottiti e impotenti DJ, perché si tratterebbe pur sempre del disco di Suor Cristina, un fenomeno mondiale.
E ho pensato, ecco la lunga e potente mano della Chiesa...dove non riuscirebbe ad arrivare...

mercoledì 4 giugno 2014

Bologna, 2 agosto - il film sulla strage

Appena uscito nelle sale, il film Bologna 2 agosto- I giorni della collera, vuole raccontare i retroscena della spaventosa strage di Bologna, spiegare al telespettatore cosa mosse gli esecutori e i mandanti, spingendolo a porsi quelle domande che ancora oggi rimangono senza una risposta.

Cast di Bologna, 2 agosto, I giorni della collera
I giovani protagonisti del film, che appartengono al N.A.R, gruppo violento armato di estrema destra

 La trama

Il film-documentario di Molteni e Santamaria Maurizio, girato con pochi mezzi, racconta come dei giovani del N.A.R., nostalgici del Duce, un po' sprovveduti e privi di mezzi, ma determinati a scrdinare il sistema e senza scrupoli, arrivano a farsi coinvolgere in un gioco più grande di loro, diretto da Massoneria e Servizi Segreti Deviati. I ragazzi rimarranno incastrati nella trama ordita da personaggi più o meno misteriosi, e dal commettere semplici omicidi contro i loro "nemici diretti"- guidici, carabinieri - arriveranno a mettere del tritolo alla stazione di Bologna, quel funesto e tragico giorno del 2 agosto 1980.

Il cast 

I giovani attori sono tutti bravi e credibili, anche l'esordiente Marika Frassino, e il film ha un ritmo rapido e incalzante, proprio come le azioni dei giovani del NAR. Tutto fila abbastanza bene fino a che, improvvisamente, si viene catapultati in un romanzetto rosa che racconta la storia d'amore tra Lorenzo Flaherty- uno dei giudici incaricati di investigare sulla strage- e Martina Colombari - una giornalista del luogo. Si passa così da Romanzo criminale a Cento vetrine, chiedendosi se non si abbia avuto un colpo di sonno e non sia iniziato un altro film. Non si capisce bene il perché di questa scelta. La Colombari decisamente inadeguata, Flaherty un po' meglio ma insomma... poi il film si riprende, ma il danno ormai è già fatto.

La mia opinione

Anche se,  ìn fondo, non rivela molto più di quanto già non si sapesse, il film, che ha il grande merito di aver portato per la prima volta l'argomento sul grande schermo, illustra abbastanza bene gli intrecci e i giochi di potere che portarono alla strage. E lascia lo spettatore con un insoddisfatto desiderio di verità che, i registi si augurano, continuerà a cercare  anche dopo che le luci in sala si saranno spente.

martedì 27 maggio 2014

Procrastinare: un'arte, non semplice cazzeggio

Ho sempre pensato che procrastinare non fosse semplice pigrizia, ma avesse un suo senso, misterioso e segreto, eppure profondamente giusto. Finalmente uno studio, che ha portato a un libro e a un sito, confortano questa  mia (strampalata?!?) teoria.

L'arte della procrastinazione

L'autore di questo autorevole studio è il Professor John Perry, docente di filosofia a Stanford, che un giorno decide di scrivere un saggio invece di portare a termine un lavoro per l'università che continuava a rimandare. Il saggio in questione è poi diventato il libro The Art of Procrastination, tradotto in italiano con l'infelice titolo La nobile arte del cazzeggio. Infelice, perché non si tratta di cazzeggio, cioè di perdita di tempo senza uno scopo preciso, ma di un concetto più sottile: rimandare un compito importante e dedicarsi ad altro. Magari ad altro che in quel momento si ha più voglia di fare. Ecco, ad esempio, dal procrastinare del dott Perry è nato questo libro.
Il "procrastinatore strutturato", dunque, viene rivalutato da Perry: magari non sarà l'individuo più puntuale ed efficiente del mondo, ma è probabilmente dotato di una mente brillante  e creativa, in grado di realizzare  cose che magari non avrebbe mai fatto se avesse seguito alla lettera la lista delle cose da fare. Addirittura il prof Perry arriva ad affermare che, rimandando le cose da fare e lasciando maturare le situazioni, talvolta i problemi si risolvono da soli, dimostrando così l'inutilità di un' iperzelante efficienza.

La mia idea di procrastinazione

La mia idea di procrastinazione nasconde un'idea della vita che trova riscontri nel taosismo, dove la vita non viene cambiata a colpi di cesoie, ma con piccoli, graduali modifiche che assecondano la proprie naturali inclinazioni. Tutto al momento giusto. Tutto assecondando il ritmo naturale della vita, della nostra vita, senza forzature, senza troppe liste delle cose da fare. È solo un'utopia? A quanto pare, il Professor John Perry pensa di no.




Libro che forse leggerò:
The Art of Procrastination- traduzione italiana: La nobile arte del cazzeggio (Sperling e Kupfer)
Sito del prof perry www.structeredprocrastination.com

La fonte di questa notizia è un articolo di Marco Filoni sul Venerdì di Repubblica

lunedì 19 maggio 2014

La terraferma è un posto nel cuore

Locandina del film TerrafermaCon Terraferma (2011) Crialese racconta il dramma dell'immigrazione clandestina in un’ isoletta siciliana di abbacinante bellezza, lontana dal mondo, dove ognuno è lasciato solo con la propria coscienza a decidere che uomo essere.

La trama

Il film è ambientato in una piccola isola siciliana, abitata da persone semplici, che vivono per lo più di pesca e turismo. Protagonisti  un piccolo nucleo familiare composto da Filippo, adolescente rimasto orfano del padre, la mamma Giulietta e il nonno pescatore Ernesto. Filippo, ragazzo chiuso e introverso, ha una grande ammirazione per il nonno, con cui va a pesca tutti i giorni,  e un grande amore per la sua isola, che ama visceralmente e da cui non vuole separarsi. Il suo mondo di ragazzo viene sconvolto quando, mentre è in mare con il nonno, dei clandestini in pericolo naufragati da un barcone chiedono soccorso. La legge lo vieta, ma il nonno decide di infrangerla per seguire la legge del mare, ben più antica, e dà soccorso ad alcuni naufraghi che riesce a caricare sulla barca. Fra loro c'è anche una donna incinta (Sara) con il figlio piccolo, che verranno nascosti nel garage dove si sono trasferiti per l'estate Filippo e la madre Giulietta, che intanto hanno affittato la loro casa ad alcuni turisti giunti lì in vacanza. Inizia così per la famiglia un'avventura pericolosa - la polizia non sa che stanno nascondendo la donna- ma di grande valore nel loro percorso di crescita personale e scoperta del "diverso". 


Giulietta con in braccio il figlio di Sara




La terraferma di Filippo

Le certezze di Filippo sono messe  a dura prova: da un lato i turisti, con quel mondo spensierato e festoso, e tra loro anche una ragazza di cui si innamora; dall'altro, proprio nella sua casa-garage, quella realtà così difficile da capire, da tenere nascosta, come un segreto che non si può confessare.  Da un lato il nonno, che rappresenta quelle leggi non scritte del cuore, e che pagherà il suo altruismo perdendo il peschereccio; dall’altro lo zio, cinico gestore della spiaggia interessato solo ad arricchirsi col turismo e a liberarsi quanto prima degli indesiderati arrivati.
 Una notte, proprio mentre è in mare su una barca in compagnia della ragazza di cui è innamorato, alcuni naufraghi si avvicinano all'imbarcazione per chiedere aiuto, ma Filippo li scaccia  a bastonate, come si scacciano i sensi di colpa dalla nostra coscienza, che  invece si ostinano a ripresentarsi. E allo stesso modo si ostinano a ripresentarsi quei naufraghi che, quasi cadaveri,  riaffiorano  il mattino seguente sulla spiaggia affollata dai turisti, come tornati dall'aldilà a interrogare la nostra coscienza.
Nel suo percorso di formazione Filippo compirà le sue scelte e ritroverà le sue certezze, la sua terraferma - come anche la madre Giuliettarispondendo all'eterna domanda che affligge l'essere umano: chi sono io?

La mia opinione

Crialese riesce a scendere nel  profondo delle coscienze senza scadere mai in retorica e luoghi comuni, senza mai forzare la mano sui facili sentimentalismi e mantenendo per tutto il film un'atmosfera rarefatta, come sospesa. Ci mostra con onestà il dramma di chi arriva e di chi  si trova davanti una realtà sconvolgente, impreparato ad affrontarla, con tutti i suoi dubbi e nessun' altra risorsa se non la sua umanità.